In corner (e pure moralista)

Condivido con qualcun altro il disagio di scrivere qualcosa in occasione della giornata contro la violenza sulle donne. Quando si tratta di violenza le parole di circostanza sono particolarmente inappropriate. Mi associo a Claudia e Silvia: forse l’unica cosa che mi sento di sottolineare è l’importanza dell’educazione, al di sopra di simboli, flashmob e loghi vari.

Educazione è esempio, competenza, risposte coerenti. Ma anche modelli. Già, modelli. Sempre su Genitori Crescono oggi si rifletteva sui modelli di bellezza imposti e autoimposti alle donne. Io stamattina, leggendo qua e là, facevo ancora i conti con la rabbia accumulata grazie alla visione di Non ti muovere, ieri sera. Qui ci va un…

Disclaimer: questa non è una recensione lucida, colta e oggettiva del film diretto e interpretato da Castellitto. Tanto meno è una recensione del romanzo di Margaret Mazzantini, che non ho letto e probabilmente non leggerò mai. Devo riconoscere che una visione che ha avuto il potere di risultarmi tanto sgradevole ha in qualche modo raggiunto un suo obiettivo artistico. Un’opera d’arte deve essere educativa? Forse no, ed è ingiusto misurarla con il metro dei valori. Ieri mi sono sentita moralista nel più letterale senso del termine. Mi sono giustificata ai miei stessi occhi argomentando che l’argomento del film mi tocca sul vivo. Ma poi ho fatto pace con me stessa e solo questo mi riprometto: spiegarvi perché questo film mi è risultato odioso e a tratti insopportabile.

Vado dritta al punto. Io, con il protagonista, non riesco proprio a empatizzare. Ho idea che la vicenda lo richiederebbe, dato che me lo presenta nel momento di massimo strazio per un genitore, quello che lo vede a fianco di un figlio in bilico tra la vita e la morte. Ma per ogni tratto della vicenda narrata, che non starò qui a ripercorrere, io di un uomo così nutro una forte disistima, per usare un eufemismo. Ancora più odioso mi è risultato il tentativo di giustificarlo con un breve flashback in cui si dipinge un’infanzia segnata dall’abbandono paterno. Troppo facile. E, per venire più precisamente all’argomento di oggi, non ho capito bene in che senso episodi di violenza anche sessuale pura e semplice possano essere presentati come elementi di un rapporto in qualche modo “romantico”. Di più. La violenza nei rapporti con le donne, accoppiata a una insopportabile mancanza di coraggio, lealtà e responsabilità, sembra essere la caratteristica precipua del personaggio in questione.

Odio vedere questo modello di maschio tormentato e sospirante affacciarsi in tanta letteratura e cinematografia del nostro Paese. Perché lui, “poverino”, ha la moglie fredda e distaccata. Perché lui, “poverino”, ha avuto un’infanzia difficile. Perché lui, “poverino”, è stato penalizzato dalle circostanze. Mi pare che costruire un personaggio così significhi costruirne uno speculare e complementare, quello della donna vittima, autoflagellante, intenta a punirsi da sola nelle forme più efferate e, a tratti, crocerossina. E’ questo, il grande amore? Quello che vede lui sospirare sul cadavere della donna che ha torturato con sistematica vigliaccheria, salvo poi fare un paio di gesti eclatanti (e lesivi di altre persone) volti a tentare di salvarle la vita invano?

Mi dico, anche da sola, che l’arte dipinge la vita. Che magari raffigurare con spietato realismo la piccineria equivale a una denuncia. Non so. Io non sono convinta. La scena del medico che si porta l’amante al congresso di colleghi con cui lavora ogni giorno, in spregio di tutto, amante compresa, non smette di irritarmi. Ed è una fra tante.

Quanto alle donne crocerossine, modello insuperato della nostra educazione sentimentale, hanno fatto più danni loro di generazioni di padri padroni. Grazie anche a Candy Candy, probabilmente.

3 pensieri riguardo “In corner (e pure moralista)”

  1. Io ho letto il libro. E, come la maggior parte dei libri della Mazzantini (penso soprattutto a Venuto al mondo, che ho odiato ferocemente), è popolato di personaggi irritanti e con cui non è possibile empatizzare. Specchio della nostra realtà, probabilmente, e rappresentati benissimo.
    Sinceramente non so se la donna crocerossina nasca per modello culturale o per spinta innata all’onnipotenza: l'”io ti salverò” deriva da un “io posso salvarti” che presuppone il potere di farlo. Che poi questo si trasformi in frustrazione (nei migliori casi) è dovuto al fatto che nessuno ha il potere di “salvare” gli altri. È già tanto se riesci a salvare te stessa!

    PS: quando sono arrivata a Candy Candy, mi sono ribaltata 🙂

  2. Io lessi il libro prima dell’uscita del film. Lo lessi su consiglio di un’amica che lo aveva trovato un capolavoro. Devo dire che, per gli stessi motivi che ben hai espresso nel tuo post, trovai assolutamente odioso il protagonista e molto infastidente la figura di questa donna vittima. Poi, ben interpretata da Penelope Cruz. L’unico personaggio positivo mi pareva proprio la moglie.
    Ma ciò che mi sconcertò maggiormente fu l’entusiasmo della mia amica, il suo atteggiamento di indulgenza nei confronti del maschio, quel suo empatizzare con la vittima, quasi che per le donne, soffrire per un amore malato, fosse un destino inevitabile.Anzi, dirò di più, un segno di distinzione.Quel libro ebbe un enorme successo. Pensai, dopo averlo letto, che di strada, noi donne, dovevamo farne ancora tanta. Prima di tutto dentro noi stesse.

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