Rabbia

Quando Meryem era piccola mi succedeva una cosa strana. Non mi limitavo a pensare alla possibilità che si verificasse qualche incidente (da quelli più idioti, come una ciotola che si rovescia, a quelli più gravi): li visualizzavo proprio. Mi vedevo davanti scene più o meno raccapriccianti, con frequenza direttamente proporzionale alla mia stanchezza e al mio sconforto. Fortunatamente solo una parte minime di quelle funeste possibilità si sono davvero concretizzate. Il tutto per dire che stasera mi sono sentita esplodere dentro una tale rabbia che, dopo molto tempo, ho avuto di nuovo una visione: me stessa che, armata di oggetto contundente, sfondavo i mobili di casa. Non solo non l’ho fatto, ma sono anche rimasta relativamente composta. Però con la cosa dell’occhio mi guardavo fare in mille pezzi la televisione e un po’ mi meravigliavo anche. In effetti la causa scatenante era infinitesimale rispetto alla reazione che mi stavo immaginando.

Però, a guardarla bene, anche la mia rabbia aveva le sue ragioni. Non certo Meryem che cincischia con il cibo, anche se oggi ha davvero superato ogni immaginazione. No, la frustrazione più grande mi veniva da un’imprevista quando deludente riunione del pomeriggio che, oltre a farmi fare tardi di un’ora e mezza rispetto alla prevista routine, mi ha fatto sbattere il muso con una certa violenza contro l’inamovibile irrazionalità del sistema pubblico italiano, e forse romano in particolare. Quel mix devastante di inconsapevole incompetenza, di arrendevolezza, di impicci e burocrazia che fanno naufragare in grandi sospiri qualunque opportunità. Non ne posso più di sospirare. Non ne posso più dei condizionali. Non ne posso più dei grandi progetti arroganti e presuntuosi che tanto non si devono mai misurare con nessuna operatività.

Ora che la mia altra me ha smesso di frantumare mobili Ikea, mi torna in mente a mo’ di antidoto un incontro di lavoro che risale a qualche giorno fa. Due operatori di uno sportello comunale mi hanno sbalordito per competenza, determinazione, attenzione, spirito di iniziativa. Uno dei due mi teorizzava che qualcosa dalla loro dirigenza l’hanno ottenuta perché “quelli si erano sentiti accerchiati”. Mi era parsa quantomeno bizzarra questa espressione da guerriglia riferita a determine e circolari. Oggi più che mai mi rendo conto che il loro modo di lavorare, che mette a frutto amici, contatti personali, conoscenze, interessi, tempo libero, per dare un senso al loro lavoro nonostante il contesto, è una faticosissima forma di resistenza. Altro che sfondare virtualmente salotti. Quella è fatica, non i sospiri di chi si sente sprecato e invece, sotto sotto, contribuisce attivamente ad alimentare la palude.

2 pensieri riguardo “Rabbia”

  1. E’ interessante questo modo di vedere la cosa, ma credo che tu abbia ragione: in un contesto per lo più decadente (mi verrebbe da dire “marcio”) purtroppo chi vuole FARE qualcosa spesso deve utilizzare i mezzi “sbagliati”. E a pensarci è veramente deprimente, perché magari lì per lì resti contenta e soddisfatta per il risultato ma poi pensi che è dovuto alla buona volontà di qualcuno che trova la scorciatoia giusta e non perché il sistema funziona.

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