Una disordinata e disorganizzata come me trova molto aiuto e conforto in due strumenti del web: i ricordi di Facebook, che mi fanno tornare alla mente e ricollocano nel tempo cose che altrimenti vagherebbero a caso nella memoria e l’archivio di Gmail, che conserva fedelmente parole, messaggi e documenti che non avrei alcuna speranza di non aver buttato, se fossero cartacei.
Oggi cercavo una cosa che ancora non ho trovato in questo secondo archivio smaterializzato, ma ne ho trovata un’altra che invece mi rammaricavo molto di aver perso. La ricetta dello strudel di mio padre, dettata quasi parola per parola dalla sua voce, non ricordo più in che occasione. Mi ricordo che ci eravamo messi sbracati sul lettone dei miei, con lui che declamava e io che prendevo appunti.
Ed eccola qui, ripescata dal baule virtuale in cui era sprofondata, tutta per voi (e per me), ben condita di lessico famigliare. L’analisi di alcune espressioni richiederebbe un apparato critico che vi risparmio. Vi basti sapere che l’anafora del “tramite…” è una citazione di Vanna Marchi e del suo proverbiale “tramite vasca da bagno”.
STRUDEL ( alias STRUCCOLO)
Miscia miscia finché viene tutto amalgamato e sshh…sshh (onomatopeico). Dopo di che riposa (la pasta) un po’. Spelansi pomi (da 5 a 7, secondo grandezza). Affettansi gli stessi tramite tavoletta lamata (ghigliottina per patate fritte). Tagliansi in due pezzi omogenei la pasta e spianasi mettendosi farina sul coso che non si ‘ttacchi. Nel frattempo in teglia cospicuamente burrevole si imbrunisce pane grattugiato (sul fuoco) in congrua quantità. Inizia l’opera.
Sulla prima spianata, tramite cucchiaio di legno, spargesi qua e là in modo omogeneo il pan grattugiato brunito, indi seminasi fette pomicine in spessore distribuito. Sul tutto pinoli a pioggia, zibibbi a pioggia, cannella squamosa sbriciolata ma non troppo, due cucchiai di zucchero. Arrotolare e chiudere mentre pezzi di ripieno sbottano qua e là dalla pasta. Non perdersi d’animo perché, se si comincia a stuccare, il rotolo si sbrega completamente e devesi passare senz’altro al secondo. Dicesi qui per smemoratezza che sotto la pasta era stato d’uopo mettere un canovaccio (vulgo: asciugamano) di lino pulito, onde contenere lo struccolo intiero con buone speranze. Contemporaneamente, o in immediata successione temporale strofinare fianchi e fondo della teglia culinaria tramite burro; inserirvi congruo pane grattugiato e remenare la teglia in su e in giù di modo che aderisca al burro. Mangiare rapidamente il pane grattugiato superfluo non aderente alla teglia. Con mossa destra, lasciando integro, se riesce, il corpo pitonesco dello struccolo, arroncigliarlo a cornetto nelle due estremità. Ripetere l’intera operazione con la sfoglia n.2, non disperando di riuscire almeno con questa. In caso propizio troveremosi di fronte a teglia burrata, pan grattugiata ed empia di due struccoli in senso contrapposto e speculare come due gemelli. Romperemo due uova onde ricavarne in apposita scodella il tuorlo giallo che, tramite polpastrello dell’indice destro (salvo il caso di cuoco mancino) si spalmerà opportunamente sul dorso esteriore dei due struccoli, allo scopo di farli dorati ( o neri del tutto per eccesso di cottura dell’insieme). Però in tal caso non ci sarà alcun danno per la doratura, dato che l’intero dolciume sarà carbonizzato.